mercoledì 2 novembre 2011

DOPPIO RIFLESSO - IL NUOVO LIBRO DI MICHELE AINIS Anteprima

DOPPIO RIFLESSO - IL NUOVO LIBRO DI MICHELE AINIS Anteprima

Longanesi annuncia l'uscita, nel 2012, del nuovo libro del costituzionalista Michele Ainis. "Doppio Riflesso", questo il titolo, ruota intorno alla personalità di un "io narrante" alle prese con un mondo confuso e in cerca di nuova identità. E' l'uomo di oggi, certo. Ma chi è davvero il protagonista?
Seguiamo le note di presentazione. E' «un agente di commercio che rischia di perdere il lavoro, o il misterioso Arturo, un suo sosia che lo mette in cattiva luce con i vicini e con le donne, rovinandogli tutti i rapporti e facendogli terra bruciata attorno?»
«E chi è l'uomo che lo aspetta sotto casa offrendogli una copia rarissima del Necronomicon, il libro immaginario raccontato da Lovecraft, il sogno di ogni bibliofilo, l'opera dotata di poteri misteriosi, capace di evocare spiriti arcani e provocare allucinazioni? E che cosa c'entra il Necronomicon con il diario sul quale il protagonista cerca di fissare la sua angosciante ricerca di spiegazioni per dare un senso alla sua vita e ritrovare la sua identità? E Gea, la misteriosa bibliotecaria incontrata sulla spiaggia, che ruolo ha in questa vicenda?».

Dopo il grande successo de "L'Assedio. La Costituzione e i suoi nemici", uscito a gennaio 2011, Ainis tornerà in libreria questa volta in vesti di narratore. Un anuncio che sta già generando, nel vastyo pubblico che lo segue, fra l'altro, attraverso gli editoriali sul Corriere della Sera, attesa ed emozione.

L'AUTORE

Michele Ainis è ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’università di Teramo, in cui è stato prorettore vicario (nel 2001) e preside della facoltà di Giurisprudenza (dal 2001 al 2005). Ha pubblicato numerosi saggi (da ultimo Vita e morte di una Costituzione, Laterza 2006), è membro del comitato di direzione di varie riviste giuridiche, ed ha tenuto conferenze in Italia e all’estero. Dal 1998 è editorialista della Stampa di Torino, dopo aver collaborato al Corriere della sera. Nel 2003 è stato eletto nel direttivo dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. Coordina la Scuola di scienza e tecnica della legislazione “Mario D’Antonio” costituita presso l’Isle. Ha fatto parte di varie commissioni ministeriali di progettazione e di studio

Le note biografiche sono tratte da Ethica Forum
(http://www.ethicaforum.it/michele-ainis.html).

ETHICA è un'organizzazione non a fini di lucro fondata nel 1991 e con base ad Asti, Italia.

(articolo preso da www.labarbarie.it di Renato d'Andria)

Si scrive Montezemolo, si legge Pomicino

Si scrive Montezemolo, si legge Pomicino


La domanda è: «comprereste un’auto usata da quest’uomo (foss’anche una Ferrari)?
Gli dareste in mano il volante del Paese?». Il primo atto politico dell’ “Italia dei carini”
- direbbe Crozza dell’Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo - non è un gesto
estetico, o il frutto di un think tank o di un advocacy group. No. Nasce come intrigo di
palazzo dalla più flaccida fisiognomica democristiana. Paolo Cirino Pomicino. Accade
che la notte prima del voto di fiducia berlusconiano, la forma astrale di Luca Cordero di Montezemolo s’impossessi del corpo di Cirino Pomicino; il quale, levatosi di soprassalto,
in trance andreottiana comincia a telefonare come un pazzo a tutti i parlamentari incerti
chiedendo loro di non votare la fiducia perché Montezuma li avrebbe «accolti a braccia
aperte». La notte, per Luca, è un’affezionata location. Conferma il sottosegretario Aurelio
Misiti: «Questa notte Montezemolo ha contattato Giustina Destro e Fabio Gava, convincendoli a voltare le spalle al Cavaliere. Ha preso contatti con altri. Di sicuro con Catia Polidori...» (e il Berlusca sbuffa: «Montezemolo voleva convincere Polidori a
mollarci. Sono stata costretto a nominarla viceministro»).
L’Italia Futura si accinge naturalmente a smentire i «fantasiosi retroscena che
attribuiscono a questa Associazione e al suo Presidente, manovre per convincere
deputati della maggioranza a votare contro il Governo». Ma un fatto è certo. Dopo tanto
traccheggiare, Duca Corbezzoli di Montescemolo - direbbe Dagospia - ha mosso il primo
passo in politica. Purtroppo, il passo sbagliato. Berlusconi l’ha sfangata ancora,
dimostrando forse d’essere il più democristiano di tutti; ma il punto è un altro.
Proprio mentre nella sua Ferrari scoppiano casini ciclopici con operai che s’inchiodano ai
pit stop, Montezuma invece di mostrarsi auriga del nuovo, adotta ineffabili strategie da
vecchissima repubblica. Non esce mai allo scoperto e manda in avanguardia i suoi
Talleyrand; blandisce i peones come i «due partecipanti alle cene di Scajola» (rivelò
Fabrizio d’Esposito sul Fatto); applica indifferentemente con Beppe Fioroni e Santo
Versace, Andrea Romano e Irene Tinagli la medesima fascinazione che ha usato in tutta
la vita per ottenere sempre il massimo risultato col minimo sforzo. Eppure non v’è nulla, in circolazione, di più vecchio, di più visceralmente osmotico alla prima Repubblica di Montezuma.
E non lo dicono solo insospettabili come De Magistris o Paolo Ferrero. Per Luca parla la
storia personale che trascende sorriso vaporoso e ciuffo ribelle: i tentativi di raccomandazioni in Rai intercettati con Bisignani; la cacciata dalla Fiat da parte di Romiti perché si «vendeva gli incontri con Agnelli»; i conflitti d’interessi presenti e futuri anche a causa della sua società ferroviaria Ntv, che nel caso di premierato, «inciderebbe sul futuro dei trasporti su rotaia», teorizza Stefano Feltri nella biografia “Il Candidato - tutti
conoscono Montezemolo, nessuno sa chi è davvero”. Un titolo, peraltro, fuorviante: sono
in molti a sapere chi è davvero Monty. Basta solo ricordarglielo ogni tanto...

Francesco Specchia
articolo tratto da Libero del 16/10/2011

(articolo preso da www.labarbarie.it )

Oltre l’Italia degli “sfascisti” (e dei media al loro seguito).

<b>Oltre l’Italia degli “sfascisti” (e dei media al loro seguito).</b>

Va condiviso in pieno quanto ha scritto il direttore del Tempo, Mario Sechi, nelle ore degli scontri che hanno messo a ferro e fuoco la capitale, lo scorso 15 ottobre. «Quello che sta succedendo – scrive Sechi - è figlio di una cultura sbagliata che affonda le radici nel crollo dell’alta educazione, di un piagnisteo mediatico che giustifica la violenza e in molti casi la incoraggia, di un’ignoranza che gronda dagli stereotipi dei commenti televisivi, tracima dal senso di colpa di un establishment senza pudore che riesce a dar ragione insieme alla Bce e agli Indignados, un caso clinico di schizofrenia che affligge una parte della classe politica, quella che ha appaltato il pensiero alla tecnocrazia, mentre gli amici banchieri si riempivano la pancia di spazzatura finanziaria».

Aggiungo che a soffiare sul vento delle tensioni è stata, nel corso degli ultimi mesi di crisi economica e sociale, proprio quella certa parte della classe politica di sinistra che oggi si straccia le vesti per denunciare ogni forma di violenza (spingendosi perfino ad evocare la Legge Reale, come ha fatto Di Pietro), ma fino a ieri aizzava il malcontento delle folle in piazza con il fine ultimo del proprio tornaconto elettorale, da conquistare spingendo sul chiodo fisso della “fine del berlusconismo” ad ogni costo.

Il risultato del perdurante atteggiamento “sfascista” di questa parte della classe politica non è solo la Roma che abbiamo sotto gli occhi, ridotta come all’indomani di una guerra civile, ma soprattutto il depauperamento ulteriore del Paese e della sua affidabilità sullo scenario internazionale. Il che, tradotto in termini economici, significa risorse ancor più ridotte, sia per offrire concrete risposte alle richieste dei cittadini, sia per avviare una possibile ripresa. (
Renato d’Andria )


Di contro, mentre i demolitori di sinistra portano a compimenti i loro piani, esiste sull’estero un’immagine del Paese che, nonostante tutto, “tiene”.
Il riferimento, che risale ad appena qualche giorno fa, è ad un incontro pubblico tenutosi a Londra presso il ministero dell’Industria, nel corso del quale esponenti del governo Cameron hanno discusso, fra l’altro, della situazione italiana, messa recentemente sotto i riflettori anche dalla Bce. «L’Italia – è stato affermato da esponenti dell’esecutivo britannico – è un Paese dipinto a tinte fosche da buona parte della sua stessa stampa, ma se guardiamo i numeri, ci accorgiamo che la drammatica situazione riportata sui giornali non sempre corrisponde a dati reali. Per fare un solo esempio – è stato sottolineato – il tasso di disoccupazione è inferiore rispetto al nostro ed anche in materia di pensioni il sistema italiano può dare ancora oggi dei punti a quello inglese».
La conclusione non ha potuto che trovare d’accordo la delegazione d’imprenditori italiani a Londra della quale ho fatto parte nei giorni scorsi: «i problemi veri che affliggono l’Italia – ha chiarito il sottosegretario all’industria del governo di David Cameron – sorgono da conflitti politici interni, dallo scontro permanente fra blocchi contrapposti di potere che sfocia poi immancabilmente in rappresentazioni sulla stampa italiana tali da offendere e mortificare un grande Paese, da sempre nostro alleato, come l’Italia».


Renato d’Andria
Segretario nazionale PSDI

martedì 18 ottobre 2011

ITALIA – La via d’uscita possibile dalla morsa della crisi

Parla Renato d’Andria, presidente della Fondazione Gaetano Salvemini di Roma.
D’Andria: «è arrivato il momento che i falsi moralisti si facciano da parte e lascino lavorare il Paese».
Le campagne mediatico-giudiziarie a base di scandali privati che rimbalzano dalla stampa italiana a quella internazionale stanno alimentando le manovre speculative in atto sulla pelle degli italiani, col rischio concreto d’infliggere il colpo di grazia alle residue speranze del Paese di risalire la china e ricominciare a costruire il suo futuro.
Ma fino a che punto si tratta di eventi imprevedibili, atti giudiziari ineccepibili e relativi dati di cronaca doverosamente riportati all’opinione pubblica?
Ed esistono strade percorribili per uscire dal pantano e rilanciare le sorti economiche del Paese?
Di questo ed altro parliamo con Renato d’Andria all’indomani del convegno organizzato dalla Fondazione Gaetano Salvemini lo scorso 21 settembre alla Sala Capranichetta di Piazza Montecitorio. Un incontro che ha visto l’attenta partecipazione di un folto pubblico e un parterre de roi comprendente, fra gli altri, personalità del mondo accademico come Michele Ainis, giornalisti di grido come Oliviero Beha, Filippo Facci e Mario Sechi, politici come Rocco Buttiglione ed Elio Lannutti, per citare solo i principali esponenti dello star system italiano.
Presidente d’Andria, il convegno ha preso le mosse da una sua considerazione ben precisa: nel Paese è in atto una guerra civile, di fronte alla quale è necessario assumere tempestivamente rimedi, prima che sia troppo tardi.
Quali sono, a suo giudizio, le forze contrapposte in campo?
Il Paese è dilaniato da una guerra combattuta non con le armi tradizionali, ma con quelle ben più sofisticate della comunicazione, i cui effetti sull’economia di una nazione possono essere devastanti. Dietro le quinte operano lobby comprendenti anche personaggi stranieri, portando avanti disegni a danno degli italiani. Una situazione che rischia di condurci alla rovina.
In che modo tali manovre vengono attuate?
Coloro che sanno leggere dietro le righe comprendono perfettamente che molto spesso ad influenzare i media europei ed internazionali sono gruppi di giornalisti italiani, o residenti comunque in Italia, che sono ben addestrati al gioco di sponda per creare un’immagine aberrante del nostro Paese, qui da noi ed anche sull’estero. Attraverso la cattiva immagine si crea la sensazione di un Paese a guida debole e inaffidabile. Il che fa scendere le “quotazioni” dell’Italia sui mercati e favorisce gli speculatori.
Gruppi di giornalisti, insomma, al servizio delle lobby speculative?
Questo è solo uno dei principali fattori che alimentano la crisi italiana. Si tratta di personaggi che, se fossimo in una guerra combattuta con le armi, dovremmo definire come “asserviti al nemico”. E in tal caso dovrebbero anche assumersi le responsabilità del loro operato, dei danni economici e sociali che stanno producendo alle imprese e alle famiglie italiane.

Qualcuno obietta però che gli “scandali” sono reali, la magistratura li persegue e i giornali ne scrivono. Non è così?
I vizi privati sono una costante del potere, questa è storia. Se andassimo a guardare sotto le lenzuola di tutti coloro che ci hanno governato, e di molti che ancora sono al potere, troveremmo ben altro, rispetto ai presunti “scandali” che riempiono oggi le prime pagine dei giornali. Vere e proprie Sodoma e Gomorra. Perciò, è arrivato il momento che i falsi moralisti si facciano da parte e lascino lavorare il Paese.
E’ a questo che si riferiva quando, in apertura dei lavori del convegno, ha lanciato la proposta di una Pax Berlusconiana? Un’idea sicuramente immaginifica, ma fino a che punto può essere concretamente percorribile?
In due diversi momenti della nostra storia una Pax ha posto fine a decenni di laceranti guerre civile e permesso all’Italia di riprendere in mano il suo futuro. Mi riferisco alla Pax Augustea, celebrata nell’Ara Pacis. E, in tempi più recenti, alla Pax Togliattiana. Nell’ultimo dopoguerra il Paese si ritrovò con circa 140mila persone da processare per crimini atroci, come l’omicidio. Esiti terribili di conflitti che spesso nulla avevano di realmente “politico”, ma derivavano da regolamenti di conti per il potere. In quella situazione l’allora ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti emanò un provvedimento di pacificazione generalizzata, un’amnistia grazie alla quale fu possibile porre le fondamenta per l’Italia democratica in cui viviamo oggi.
Ritiene dunque che si debba accogliere e sostenere la proposta di amnistia avanzata con forza da Marco Pannella, anche nei confronti del premier?
Qui va fatto un distinguo. La proposta di amnistia va accolta e sostenuta, ma per quanto riguarda Berlusconi il discorso è diverso. Pannella ha parlato di un “salvacondotto”, da altre parti si è sentito dire che potremmo “far uscire la sua famiglia dall’Italia”. Proposte inaccettabili e, prim’ancora, del tutto improponibili. Simili idee potevano riguardare Saddam Hussein. O possono oggi essere ipotizzate per Gheddafi. Ma L’Italia non è l’Iraq né la Libia. E Silvio Berlusconi non è certo un dittatore. Per questo noi sosteniamo l’idea di una Pax Berlusconiana, che sia lo stesso premier a promuovere. Non per se stesso, ma per il bene del Paese.
Con la Fondazione Salvemini porterà avanti questo discorso?
Certamente. Il convegno del Capranichetta è stato solo il primo momento di confronto ed aggregazione che la Fondazione ha promosso su temi di stringente attualità politica, via via sempre più urgenti. Altri ne seguiranno, mentre stiamo mettendo in campo una linea editoriale a sostegno delle nostre proposte, sempre sulla scia degli insegnamenti di un grande meridionalista come Gaetano Salvemini.
Rita Pennarola

Nella foto di apertura, Elio Veltri (a sinistra) e Renato d'Andria in un momento del convegno.

La stringente attualità del convegno “Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana” (Renato d'Andria)

Mercoledì 28 Settembre 2011 13:49
E’ stato solo un puro caso che il premier Silvio Berlusconi si sia recato al Colle proprio il 22 settembre, lo stesso giorno in cui in cui si trovavano a confronto alcuni fra gli esponenti di punta del mondo giuridico, della politica e del panorama giornalistico, sull’ipotesi di una Pax Berlusconiana?
Nel corso dell’incontro col capo dello Stato Giorgio Napolitano, Berlusconi ha inteso rassicurare il Paese circa la sua ferma volontà di condurre in porto la legislatura, quasi a replicare alle voci di “exit strategy” che si rincorrono da più parti e che sono culminate, appunto, nell’ipotesi avanzata durante il convegno tenutosi al Capranichetta ieri, 21 settembre.
Coordinati da un brillantissimo Mario Sechi, i relatori hanno dato vita ad un acceso confronto sulle reali possibilità di individuare una via d’uscita percorribile dalla morsa della crisi, «che è crisi politica prima ancora che economica».
Il concetto di Pax Berlusconiana è stato illustrato in apertura da Renato d’Andria, presidente della Fondazione Gaetano Salvemini che ha promosso l’incontro. Per d’Andria, l’autentica guerra civile e giudiziaria che ha fin qui dilaniato il Paese può trovar fine in un provvedimento legislativo che, andando ben oltre amnistia e condono, conduca in tempi rapidi ad una sorta di pacificazione nazionale e restituisca così slancio ad un’economia in ginocchio.
Non guerra civile è stata – a giudizio di Oliviero Beha, mapiuttosto una “pace incivile” da cui si fa fatica ad uscire. Giudizio sostanzialmente condiviso da Filippo Facci di Libero, le cui previsioni circa la reattività degli italiani risultano ancor più fosche. Anche perché si continua ad assistere a paradossi come quello ricordato da Roberto Giovannini de La Stampa: «in Italia spingiamo per l’uso dei mezzi pubblici, ma stiamo chiudendo l’unica fabbrica di autobus che era rimasta aperta nel Paese».

Di tutto rilievo sono poi arrivate, sul versante delle azioni da intraprendere, le analisi del costituzionalista Michele Ainis, il quale ha posto sul tappeto, con la consueta efficacia, alcuni fra i rimedi possibili alla attuale crisi di sistema. Tanto per cominciare, meccanismi di “revoca dell’eletto”, quando necessario, analogamente a quanto già accade in diversi Paesi del mondo occidentale; e poi potenziamento delle iniziative di legge popolare che, così come si configurano attualmente, altro non sono se non «una supplica al sovrano», e in quanto tali vengono trattate. Al professor Ainis ha fatto eco Giuseppe Fortunato dell’Autorità Garante per la Privacy, avvocato, da sempre schierato in difesa della partecipazione popolare anche in quanto fondatore del vasto movimento “Civicrazia”.
«Ma la vera priorità – ha detto Rocco Buttiglione – resta la riforma dei partiti». Nel corso del convegno il presidente Udc ha annunciato infatti la proposta di legge che prevede, fra l’altro, meccanismi di obbligatorietà della democrazia interna, norme precise sull’uso del denaro pubblico e candidature scelte attraverso primarie a scrutinio segreto.
Anche perché «continuando di questo passo, con le cricche dei banchieri a decidere sui destini del mondo – ha osservato con la solita grinta il senatore Idv Elio Lannutti – ai nostri figli lasceremo in eredità solo carte revolving scadute…».
Se Elio Veltri aveva scaldato la sala in apertura con l’appassionato ricordo d un insegnamento attualissimo, quello di Gaetano Salvemini, non meno coinvolgente è stata la conclusione del convegno, con un Sergio D’Elia, presidente di Nessuno Tocchi Caino, che ha toccato i tasti più dolenti del Paese e della nostra coscienza. «Non di debito pubblico a carattere finanziario si deve parlare – ha detto D’Elia – ma di un debito ben più pesante, quello che la giustizia italiana ha accumulato nei confronti della popolazione, con una montagna da 3 miloni e 300 mila processi pendenti ed una “amnistia clandestina”, riservata ai ricchi, che si chiama prescrizione».

Roma, 22 settembre 2011

Ufficio stampa Fondazione Gaetano Salvemini
Rosa Rita Pennarola (Renato d'Andria)

giovedì 6 ottobre 2011

TV E INFORMAZIONE: PIU’ DEMOCRAZIA O PIU’ ESCLUSIONE SOCIALE? (Renato d'Andria)


Oggi più che mai la classe dirigente ricorre al mezzo televisivo per comunicare con il proprio elettorato. I comizi sono ormai passati di moda, i tavolini ridotti a semplici spazi di propaganda e i circoli di partito a poco più che bar sport di quartiere, ed è quindi proprio attraverso il piccolo schermo che i politici contemporanei cercano più che di comunicare, di influenzare e/o pilotare le posizioni dei telespettatori. Gli elementi di un “talk show” politico comprendono essenzialmente: - Un conduttore spesso arrogante ed apparentemente energico - Rappresentanti dei due schieramenti (Destra e Sinistra) in posizioni visibilmente contrapposte, come in Parlamento - Alcuni eminenti specialisti (economisti, giornalisti, ricercatori, ecc...) presenti in studio o in diretta da posti o località di prestigio - Un pubblico piazzato alle spalle dei politici e posizionato come i tifosi allo stadio. Guardi queste trasmissioni e subito ti vengono immediate alcune considerazioni: - Lo spazio in questione sembra come un’arena in cui si debbano affrontare dei gladiatori - L’eccitazione dello scontro e della prevaricazione domina la scena ed i contenuti che vengono (raramente) esposti passano in secondo piano - Il conduttore apparentemente cerca di smorzare i toni dei contendenti, ma in realtà li fomenta costantemente in quanto ciò che più conta è l’audience e non il far passare messaggi troppo chiari e/o diretti al pubblico a casa - Gli specialisti appaiono quasi sempre come degli “agnellini” nei confronti dei politici in studio, evitando di entrare troppo in contrasto con loro - Il pubblico in studio e a casa non viene quasi mai coinvolto e quando ciò accade, la cosa si risolve in un intervento molto limitato ed incompleto - La telecamera concentra tutta la sua attenzione sui contendenti e sul conduttore, cercando di far risaltare qualsiasi elemento, anche facciale-espressivo, che possa suscitare un interesse maggiore fra il pubblico - La pausa pubblicitaria viene a volte usata per evitare che vengano diffuse cose non previste nella scaletta programmata - Le domande appaiono spesso pilotate e l’impressione è che i politici siano spesso tutt’altro che spontanei nelle loro dichiarazioni. Tutto questo a dimostrazione di quanto siano inutili queste trasmissioni per tutte/i coloro che vogliano davvero farsi una vera e propria cultura politica ed accedere ad informazioni che siano in grado di farli crescere come soggetti civili e quindi anche politici. In parole povere, sono eventi in cui viene diffusa solo una patetica propaganda politica, dai contenuti vuoti e/o effimeri e che si riduce solo ad una blanda espressione di protagonismo da parte dei partecipanti. Quindi, non vedremo mai in tali sedi specialisti davvero scomodi come Gianni Lannes, Gianni Minà o Fernando Imposimato, né vedremo mai conduttori autenticamente costruttivi nel dibattito, né tantomeno vedremo mai il pubblico essere parte effettivamente integrante e partecipe in modo costante dello stesso. E quest’ultimo punto è la prova (semmai ce ne fosse ancora bisogno) che la gente comune è effettivamente esclusa dalla politica e ridotta ad una mera comparsa a cui la classe dirigente ricorre solo di tanto in tanto per avere voti e nulla più! Yvan Rettore

I MASS MEDIA HANNO IL DIRITTO DI CRITICARE LA MAGISTRATURA. PAROLA DI CASSAZIONE (Renato d'Andria)


Secondo una importante sentenza della Cassazione, pronunciata qualche settimana fa, i mass media possono attaccare il potere giudiziario. Facendo propria la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha definito i giornali i “cani da guardia” della democrazia e delle istituzioni, la Cassazione scrive: «il ruolo fondamentale nel dibattito democratico svolto dalla libertà di stampa non consente di escludere che essa si esplichi in attacchi al potere giudiziario». E aggiunge che i mass media «costituiscono il mezzo principale diretto a garantire un controllo appropriato sul corretto operato dei giudici». Ancora la Suprema Corte riconosce che se «da un lato è di enorme interesse per la comunità nazionale la corretta e puntuale esplicazione dell’attività giudiziaria, dall’altro, la critica e cronaca giornalistica volte a tenere o a ricondurre il giudice nell’alveo suo proprio vadano non solo giustificate ma propiziate». La sentenza è stata pronunciata in merito ad un ricorso presentato dall’ex parlamentare Tiziana Maiolo che, in un comizio pubblico, aveva attaccato la Procura di Palermo allora guidata da Giancarlo Caselli paragonandola ad una «associazione a delinquere di tipo istituzionale». Va sottolineato ancora un altro passaggio della sentenza: «all’interno delle società democratiche deve, di conseguenza e soprattutto, riconoscersi alla stampa e mass media il ruolo di fori privilegiati per la divulgazione extra moenia dei temi agitati all’interno delle assemblee rappresentative e per il dibattito in genere su materie di pubblico interesse, compresi la giustizia e l’imparzialità della magistratura». - La Redazione
La ringraziamo per l’importante segnalazione e non possiamo che condividere il parere della Suprema Corte. Anche perché è indispensabile una riforma della legislazione in materia di più ampio diritto all’informazione, ma anche di pene più rigide per quella certa parte della stampa stampa che, al contrario, agisce in nome di interessi di parte e non di quelli collettivi.