martedì 28 giugno 2011

Un Appello per il dialogo cristiano-islamico

Prefazione:

Si allunga la lista di gruppi e personalità che aderiscono Appello ai cristiani e ai musulmani per il dialogo Cristiano-Islamico, lanciato in vista della Decima Giornata prevista per il prossimo 27 Ottobre. Un appello ecumenico che - sottolineano i promotori - va accompagnato e sostenuto con iniziative concrete sui territori, quali appunto la realizzazione di momenti di incontro fra le comunità cristiane e musulmane in Italia
Fra i promotori dell\'Appello si segnalano: ADISTA (agenzia di stampa cattolica - Roma); Associazione Confronti (Roma); CEM-Mondialità /Brescia); Cipax - Centro interconfessionale per la pace (Roma); EMI (Editrice missionaria italiana, Bologna); Agnese Ginocchio (cantautrice di pace); Il Dialogo (periodico di Monteforte Irpino). E ancora: La nonviolenza è in cammino (foglio quotidiano del Centro di ricerca per la pace di Viterbo diretto da Peppe Sini); Missione Oggi (Brescia); Mosaico di Pace (Bari); Pax Christi (Firenze); Religions for Peace (sezione italiana); Tempi di Fraternità (Torino); UCOII, Unione delle Comunità islamiche in Italia (Roma).


Articolo:

Il testo dell'Appello \"DIALOGO, PLURALISMO, DEMOCRAZIA: IL NOSTRO COMUNE ORIZZONTE” Dieci anni fa, subito dopo la tragedia dell’11 settembre, lanciammo un appello per la creazione di una “Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico”. Era il 4 novembre 2001. Volevamo impedire che il terrorismo da una parte e la risposta militare dell’amministrazione americana dall’altra ostacolassero pericolosamente l\'itinerario del dialogo che, all’interno di quello più ampio tra tutte le grandi tradizioni religiose (una novità storica ed una vera benedizione, maturata progressivamente nella seconda metà del XX secolo anche sulla base di importanti esperienze dei secoli precedenti in tante parti del mondo), era in corso con i musulmani la cui religione, largamente diffusa nel mondo, “si fonda sui valori della pace, della giustizia e della convivenza civile”
Per dieci anni l’iniziativa della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico è andata avanti dal basso, coinvolgendo comunità cristiane e musulmane sparse su tutto il territorio nazionale con importanti e significative iniziative che hanno coinvolto anche importanti organismi istituzionali quali la Camera dei Deputati e la Presidenza della Repubblica
Molto vari sono stati i temi delle giornate fin qui celebrate quali “Vincere la paura per costruire la pace”, “Costruire speranza e convivialità”, “Raccontarsi la vita” per scoprirsi tutti migranti e bisognosi di aiuto riscoprendo “La gioia del dialogo” o “Amare la terra e tutti gli esseri viventi” che è stato il tema dell’ultima giornata. Abbiamo proposto anche un decalogo su cui costruire la conoscenza ed il rispetto reciproco
Riflettendo sulle rivoluzioni in atto nel mondo arabo-islamico, quest\'anno, in occasione del decennale dalla istituzione della giornata, proponiamo a tutte le comunità cristiane e musulmane d\'Italia di ragionare insieme sul tema: \"DIALOGO, PLURALISMO, DEMOCRAZIA: IL NOSTRO COMUNE ORIZZONTE\" , perché il dialogo, per consolidarsi tra le persone e tra i popoli, non può fare a meno di pluralismo e democrazia. Invitiamo, naturalmente, anche le amiche e gli amici di altre tradizioni ad unirsi alla riflessione sul tema, dato che il valore centrale del pluralismo è basato proprio sulla dignità delle differenze e può essere considerato il vero “termometro” del grado di libertà in ogni società
Vogliamo costruire ponti e non muri, sollecitare amicizia e pace e non pregiudizi e guerre, vogliamo il rispetto di tutti gli esseri umani, sanciti nella dichiarazione universale dei diritti umani proclamati dall’ONU nel 1948, vogliamo ripudiare la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali come proclamano la nostra Costituzione e i trattati internazionali
Invitiamo così anche quest’anno a celebrare, il prossimo 27 ottobre, la Decima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, nella convinzione che sono “Beati quelli che si adoperano per la pace” (Mat 5:9), perché Dio (Allah) “chiama alla dimora della pace” (Sura 10, 25) perché Lui è “La Pace” (Sura LIX, 23), perché il dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.


di Redazione di Genesi journal


link utili:
fondazione Gaetano Salvemini
la barbarie (di Renato d'Andria)

martedì 21 giugno 2011

Via l'Italia dalla Libia, Renato d'Andria

Questa mattina, 20 giugno, la Nato ha ammesso di aver ucciso per errore dei civili nel corso di un raid aereo compiuto nella notte tra sabato e domenica a Tripoli. L'Alleanza Atlantica ha precisato che obiettivo dell'attacco era un «sito militare di missili», ma «sembra che una delle nostri armi non abbia funzionato come previsto e abbia causato vittime civili»
Come precisato alla France Presse dal portavoce del governo libico Moussa Ibrahim, le persone morte nel raid sono nove, mentre altre 18 sono rimaste ferite. Di fronte a aquesto ennesimo lutto, suonano beffarde le successive dichiarazioni in cui i rappresentanti della Nato si rammaricano «per la morte di civili innocenti», non senza tenere a sottolineare di aver condotto «più di 1.500 attacchi» in Libia e che «ogni operazione viene preparata e messa in atto con grande cura per evitare vittime civili» (L'articolo continua nel link sotto)

Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Renato d'Andria

venerdì 17 giugno 2011

L'Istituto italiano di cultura a San Pietroburgo (Renato d'Andria)

L' Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo, diretto da Giorgio Mattioli, è stato istituito il 1 gennaio 1999 come sezione dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca. La sede è stata successivamente attivata nel corso del 2003 in occasione delle celebrazioni per il trecentesimo anniversario della creazione di San Pietroburgo.

E' un organismo ufficiale dello Stato italiano ed ha l'obiettivo obiettivo di promuovere e di diffondere la lingua e la cultura italiana attraverso l'organizzazione di eventi culturali per favorire la circolazione delle idee, delle arti e delle scienze.

L’Istituto Italiano di Cultura a San Pietroburgo si trova nella Piazza del Teatro (Teatralnaja ploschad', 10), nei pressi del Teatro Mariinskij (rinominato in epoca sovietica Teatro Kirov) e di fronte al Conservatorio della città. 
L’intera storia dell’edificazione e dello sviluppo di Teatralnaja ploschad è legata alla costruzione e alla ristrutturazione del teatro.

martedì 14 giugno 2011

L’ITALIA ESCA DALL’UNIONE EUROPEA PER ESSERE FULCRO DELL’UNIONE DI STATI DEL MEDITERRANEO (Renato d'Andria)

L’ultima beffa – la più recente – è arrivata col blocco a Ventimiglia dei treni provenienti dall’Italia e che avevano a bordo gli immigrati diretti in Francia. Tanto che il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini ha dovuto elevare l’ennesima, vibrata protesta all’indirizzo del governo d’Oltralpe.
Ancora una volta l’Italia si trova a dover imporre quelle regole di sostegno reciproco ed alleanza che dovrebbero essere alla base dei trattati fondanti dell’Europa unita.
Ma non si tratta solo dell’ultima “figuraccia” in ordine di tempo sul proscenio internazionale. Tutt’altro. Ciò che sta emergendo, con la crisi libica e con gli attacchi unilaterali decisi da inglesi e francesi, rende ancor più chiaro lo scenario che da tempo abbiamo sotto gli occhi: il nostro Paese deve uscire dall’Unione Europea e diventare il perno degli Stati Uniti del Mediterraneo.

Con un contemporaneo abbandono anche dell’euro, la moneta che ha messo in ginocchio la nostra economia, ormai da oltre dieci anni, attraverso le sciagurate politiche dei cambi originari, finalizzati a favorire economie già più forti della nostra.
Il momento, per effettuare questa epocale transizione verso nuove alleanze statuali, è oggi dei più favorevoli, con le sollevazioni popolari lungo la costa nordafricana ed intere generazioni proiettate verso il Mare Nostrum alla ricerca di un riscatto da condizioni di vita non più tollerabili. E sarebbe certamente uno smacco senza precedenti per quei Paesi come Francia, Germania ed Inghilterra, abituati a trattare l’Italia come un servo. Né si sono smentiti in occasione dei recenti fatti libici.
Sia chiaro: non è il nostro Paese ad aver bisogno di loro. L’Italia vanta orgogliosamente una lunghissima storia di indipendenza. E’ stata più volte occupata, ma mai dipendente.
La nostra collocazione geografica ci pone, anzi, in una posizione di assoluto vantaggio. E i motivi, mai come stavolta, risultano lampanti: non appena i rapporti fra noi e la Libia stavano diventando maggiormente stretti e proficui, le forze anglo-francesi, con la complicità degli americani, hanno lanciato i loro raid per andare a depredare le terre di Gheddafi, col cui governo noi avevamo stretto partnership foriere di enormi vantaggi economici e produttivi per entrambi i Paesi.
L’Europa stia in guardia: o viene riconosciuto all’Italia il suo ruolo di centro strategico per gli scambi nel Mediterraneo, o noi possiamo chiamarci fuori dall’Unione senza subirne alcun danno. Al contrario: le opportunità non si farebbero attendere. Dando vita ad una Comunità economica del Mediterraneo – alleanza preliminare alla nascita dell’unione non solo economica, ma anche politica degli Stati – l’Italia potrebbe operare da leader dentro un ampio mercato dei consumi in cui esportare tecnologie, progresso, valori sociali, un’area che richiede con forza progresso e sviluppo, e possiede tutti i requisiti potenziali per diventare una nuova eccellenza mondiale, al pari di ciò che sta accadendo ad India e Brasile. Per rendersene conto basta allungare lo sguardo su terre come Tunisia, Libia, Marocco, ricchissime di energia e di risorse naturali tutte da sviluppare, dall’agricoltura alla pesca, che attendono solo la modernizzazione delle tecnologie prodotte da Paesi confinanti come il nostro.
La tradizionale povertà economica e sociale del Maghreb può e deve diventare un’immensa risorsa per tutti i popoli abitanti lungo le sponde del Mediterraneo. Ma per arrivare in breve tempo alla nuova configurazione di Stati, con il ruolo guida che spetta all’Italia, occorre rompere gli indugi e cogliere la congiuntura storica in atto, sottraendo alle potenze nordeuropee la tracotante leadership - che si sono attribuite in maniera assolutamente unilaterale e tutt’altro che condivisa a livello di UE – nel decidere con la violenza i destini di un Paese che con l’Italia è confinante e tradizionalmente alleato.
Una delle obiezioni che viene mossa a tale impostazione riguarda la sanguinosa e “biblica” conflittualità lungo il confine israelo-palestinese. A questo proposito giova ricordare che – come ho più volte affermato anche nei miei interventi sulla rivista multilingue Genesi – l’Unione di Stati del Mediterraneo potrà rivestire in se stessa un ruolo pacificatore e sanare gli storici contrasti fra i due popoli. Per fare un solo esempio, smorzerebbe un detonatore di cui poco si parla, ma che rappresenta una fra le principali micce accese: lo squilibrio nel tasso di natalità, particolarmente elevato fra i palestinesi, al contrario di ciò che si registra tra i figli d’Israele. Se i due Paesi facessero parte di una confederazione di Stati con fini condivisi, o nel momento in cui operassero in un contesto analogo a quello degli Stati Uniti d’America, anche tali forme di rivalità non avrebbero più senso, o in ogni caso perderebbero il loro potenziale di deflagrazione.
Per l’Italia è insomma arrivato il momento di porre le basi concrete per un’alternativa vera rispetto alla permanenza dentro la gabbia di una Unione Europea che agisce nei nostri confronti con atteggiamenti intollerabili, usurpando il ruolo strategico e geografico che spetta da sempre al nostro Paese.


Renato d'Andria

Testo preso da www.fondazionegaetanosalvemini.org (Renato d'Andria presidente)

Genesi journal di Renato d'Andria sostiene il dialogo pacifico tra i paesi del Mediterraneo vai su www.genesijournal.org Renato d'Andria

VERSO LA CONFEDERAZIONE DEGLI STATI UNITI DEL MEDITERRANEO (Renato d'Andria)


Nel 2005, a dieci anni esatti dal trattato di Barcellona, che istituiva la volontà di un solido
partenariato commerciale fra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo, numerose ed
autorevoli voci si erano levate per ribadire la necessità di portare almeno ad una prima
attuazione le norme contenute in quell’accordo. Prese di posizioni lungimiranti, che io
stesso avevo sottolineato proprio quell’anno, nel 2005, in un lungo articolo sulla rivista
plurilingue Genesi, fondata in quegli anni allo scopo di favorire tale indispensabile dialogo.
A maggio 2006, nel corso di un convegno appositamente organizzato da Genesi alla Sala
Capranichetta di Roma, numerose personalità avevano ribadito ed articolato le ragioni di
tale esigenza, che già allora apparivano stringenti, come poi la storia degli ultimi mesi ci sta
ora dimostrando. Proprio in quella occasione fu avanzata l’idea di dar vita ad una Fondazione destinata a raccogliere
consensi per gettare in concreto le basi della nuova Europa allargata ai Paesi del Mediterraneo, con l’ardita
prospettiva di abbracciare anche le rive del Mar Caspio e del Mar Nero.


Una proiezione geopolitica di ampio respiro, ma anche una sfida con cui oggi tutti sono chiamati a confrontarsi.
Oggi come allora, la nostra ipotesi poggia su un dato storico e geografico. Il Mediterraneo ed i Paesi che si
affacciano sulle sue rive rappresentano il fulcro di ogni forma di cultura e civiltà umana. La loro storia - e
soprattutto quella del nostro Paese - mostrano quanto sia stato possibile nel passato, lungo questi confini, tracciare
scenari di dialogo e di solidarietà. Se partiamo dalle ragioni del sanguinoso scontro in atto nell’area mediorientale,
ci accorgeremo che esso non é divampato tra Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ma che, ancora
una volta, sono state iniziative esterne, ovvero l’iniziativa militare degli Stati Uniti, a generarne la causa. Un processo
a catena, partito con la prima guerra del Golfo, che porta tra gli abitanti di questo mare lutti, sciagure, terrorismo.
La proposta che oggi Genesi cerca di favorire nasce nel segno dell’aggregazione, sulla base delle comuni
radici storiche e culturali tra i popoli che vivono intorno al Mediterraneo.
La nostra proposta vede al centro valori antichi, come l’uomo e la famiglia, ma deve innanzitutto tener conto
dei fattori economici alla base dello scontro. Noi immaginiamo un grande mercato unico che regoli gli scambi
commerciali tra i 600 milioni di abitanti degli Stati mediterranei, impostato e regolato attraverso trattati internazionali.
Un mercato equo tale da restituire dignità e forza economica ai Paesi che sono ora territorio di guerra e
che custodiscono nel loro sottosuolo - non dimentichiamolo - i due terzi delle riserve petrolifere mondiali.


Renato d'Andria

Testo preso da www.fondazionegaetanosalvemini.org (Renato d'Andria presidente)

Renato d'Andria sostiene il dialogo pacifico tra i paesi del Mediterraneo vedi www.genesijournal.org

Una petizione per fermare la guerra in Libia (Renato d'Andria)


Fermare l'aggressione!
La nostra guerra di Libia continua, nella piena illegalità con cui è cominciata.
L'abbiamo fatta sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che viola la Carta delle Nazioni Unite,
perché la Libia non stava affatto minacciando la pace e la sicurezza internazionale.
L'abbiamo fatta sulla base di un'ondata di informazioni false che non sono state mai verificate: non c'erano i 10 mila morti, non c'erano le fosse comuni; non ci sono mai stati bombardamenti su manifestazioni civili.
Migliaia di missioni di bombardamento della Nato, cui noi partecipiamo, hanno già prodotto centinaia di morti di civili. Noi uccidiamo e non proteggiamo.
Siamo intervenuti in una guerra civile sostenendo una parte contro l'altra senza nemmeno sapere chi sono quelli che diciamo di sostenere.
E finanziamo la rivolta con decine di milioni di euro. Tutto questo non è nemmeno scritto nella risoluzione dell'Onu.
Senza nessuna legittimità noi puntiamo all'uccisione del capo di uno Stato sovrano. E questo assassinio, già eseguito contro uno dei suoi figli, viene pubblicamente auspicato e conclamato dai capi delle potenze occidentali di cui siamo alleati. Stiamo assistendo inerti a un ritorno alla barbarie.
La vergogna di questo atteggiamento infame deve essere distribuita equamente tra tutte le forze politiche italiane. Solo rare voci si
levano a protestare. Il pacifismo è inerte e tace anch'esso.
Ma noi non possiamo accettare in silenzio tutto ciò. Non è in nostro nome che si uccide, violando ancora una volta la nostra Costituzione.
Noi non abbiamo voce, ma vogliamo parlare a chi è ancora in grado di ascoltare. Questa aggressione deve finire.

Renato d'Andria

Testo preso da www.fondazionegaetanosalvemini.org (presidente Renato d'Andria)
Renato d'Andria sostiene il dialogo pacifico tra i paesi del mediterraneo www.genesijournal.org