martedì 18 ottobre 2011

ITALIA – La via d’uscita possibile dalla morsa della crisi

Parla Renato d’Andria, presidente della Fondazione Gaetano Salvemini di Roma.
D’Andria: «è arrivato il momento che i falsi moralisti si facciano da parte e lascino lavorare il Paese».
Le campagne mediatico-giudiziarie a base di scandali privati che rimbalzano dalla stampa italiana a quella internazionale stanno alimentando le manovre speculative in atto sulla pelle degli italiani, col rischio concreto d’infliggere il colpo di grazia alle residue speranze del Paese di risalire la china e ricominciare a costruire il suo futuro.
Ma fino a che punto si tratta di eventi imprevedibili, atti giudiziari ineccepibili e relativi dati di cronaca doverosamente riportati all’opinione pubblica?
Ed esistono strade percorribili per uscire dal pantano e rilanciare le sorti economiche del Paese?
Di questo ed altro parliamo con Renato d’Andria all’indomani del convegno organizzato dalla Fondazione Gaetano Salvemini lo scorso 21 settembre alla Sala Capranichetta di Piazza Montecitorio. Un incontro che ha visto l’attenta partecipazione di un folto pubblico e un parterre de roi comprendente, fra gli altri, personalità del mondo accademico come Michele Ainis, giornalisti di grido come Oliviero Beha, Filippo Facci e Mario Sechi, politici come Rocco Buttiglione ed Elio Lannutti, per citare solo i principali esponenti dello star system italiano.
Presidente d’Andria, il convegno ha preso le mosse da una sua considerazione ben precisa: nel Paese è in atto una guerra civile, di fronte alla quale è necessario assumere tempestivamente rimedi, prima che sia troppo tardi.
Quali sono, a suo giudizio, le forze contrapposte in campo?
Il Paese è dilaniato da una guerra combattuta non con le armi tradizionali, ma con quelle ben più sofisticate della comunicazione, i cui effetti sull’economia di una nazione possono essere devastanti. Dietro le quinte operano lobby comprendenti anche personaggi stranieri, portando avanti disegni a danno degli italiani. Una situazione che rischia di condurci alla rovina.
In che modo tali manovre vengono attuate?
Coloro che sanno leggere dietro le righe comprendono perfettamente che molto spesso ad influenzare i media europei ed internazionali sono gruppi di giornalisti italiani, o residenti comunque in Italia, che sono ben addestrati al gioco di sponda per creare un’immagine aberrante del nostro Paese, qui da noi ed anche sull’estero. Attraverso la cattiva immagine si crea la sensazione di un Paese a guida debole e inaffidabile. Il che fa scendere le “quotazioni” dell’Italia sui mercati e favorisce gli speculatori.
Gruppi di giornalisti, insomma, al servizio delle lobby speculative?
Questo è solo uno dei principali fattori che alimentano la crisi italiana. Si tratta di personaggi che, se fossimo in una guerra combattuta con le armi, dovremmo definire come “asserviti al nemico”. E in tal caso dovrebbero anche assumersi le responsabilità del loro operato, dei danni economici e sociali che stanno producendo alle imprese e alle famiglie italiane.

Qualcuno obietta però che gli “scandali” sono reali, la magistratura li persegue e i giornali ne scrivono. Non è così?
I vizi privati sono una costante del potere, questa è storia. Se andassimo a guardare sotto le lenzuola di tutti coloro che ci hanno governato, e di molti che ancora sono al potere, troveremmo ben altro, rispetto ai presunti “scandali” che riempiono oggi le prime pagine dei giornali. Vere e proprie Sodoma e Gomorra. Perciò, è arrivato il momento che i falsi moralisti si facciano da parte e lascino lavorare il Paese.
E’ a questo che si riferiva quando, in apertura dei lavori del convegno, ha lanciato la proposta di una Pax Berlusconiana? Un’idea sicuramente immaginifica, ma fino a che punto può essere concretamente percorribile?
In due diversi momenti della nostra storia una Pax ha posto fine a decenni di laceranti guerre civile e permesso all’Italia di riprendere in mano il suo futuro. Mi riferisco alla Pax Augustea, celebrata nell’Ara Pacis. E, in tempi più recenti, alla Pax Togliattiana. Nell’ultimo dopoguerra il Paese si ritrovò con circa 140mila persone da processare per crimini atroci, come l’omicidio. Esiti terribili di conflitti che spesso nulla avevano di realmente “politico”, ma derivavano da regolamenti di conti per il potere. In quella situazione l’allora ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti emanò un provvedimento di pacificazione generalizzata, un’amnistia grazie alla quale fu possibile porre le fondamenta per l’Italia democratica in cui viviamo oggi.
Ritiene dunque che si debba accogliere e sostenere la proposta di amnistia avanzata con forza da Marco Pannella, anche nei confronti del premier?
Qui va fatto un distinguo. La proposta di amnistia va accolta e sostenuta, ma per quanto riguarda Berlusconi il discorso è diverso. Pannella ha parlato di un “salvacondotto”, da altre parti si è sentito dire che potremmo “far uscire la sua famiglia dall’Italia”. Proposte inaccettabili e, prim’ancora, del tutto improponibili. Simili idee potevano riguardare Saddam Hussein. O possono oggi essere ipotizzate per Gheddafi. Ma L’Italia non è l’Iraq né la Libia. E Silvio Berlusconi non è certo un dittatore. Per questo noi sosteniamo l’idea di una Pax Berlusconiana, che sia lo stesso premier a promuovere. Non per se stesso, ma per il bene del Paese.
Con la Fondazione Salvemini porterà avanti questo discorso?
Certamente. Il convegno del Capranichetta è stato solo il primo momento di confronto ed aggregazione che la Fondazione ha promosso su temi di stringente attualità politica, via via sempre più urgenti. Altri ne seguiranno, mentre stiamo mettendo in campo una linea editoriale a sostegno delle nostre proposte, sempre sulla scia degli insegnamenti di un grande meridionalista come Gaetano Salvemini.
Rita Pennarola

Nella foto di apertura, Elio Veltri (a sinistra) e Renato d'Andria in un momento del convegno.

La stringente attualità del convegno “Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana” (Renato d'Andria)

Mercoledì 28 Settembre 2011 13:49
E’ stato solo un puro caso che il premier Silvio Berlusconi si sia recato al Colle proprio il 22 settembre, lo stesso giorno in cui in cui si trovavano a confronto alcuni fra gli esponenti di punta del mondo giuridico, della politica e del panorama giornalistico, sull’ipotesi di una Pax Berlusconiana?
Nel corso dell’incontro col capo dello Stato Giorgio Napolitano, Berlusconi ha inteso rassicurare il Paese circa la sua ferma volontà di condurre in porto la legislatura, quasi a replicare alle voci di “exit strategy” che si rincorrono da più parti e che sono culminate, appunto, nell’ipotesi avanzata durante il convegno tenutosi al Capranichetta ieri, 21 settembre.
Coordinati da un brillantissimo Mario Sechi, i relatori hanno dato vita ad un acceso confronto sulle reali possibilità di individuare una via d’uscita percorribile dalla morsa della crisi, «che è crisi politica prima ancora che economica».
Il concetto di Pax Berlusconiana è stato illustrato in apertura da Renato d’Andria, presidente della Fondazione Gaetano Salvemini che ha promosso l’incontro. Per d’Andria, l’autentica guerra civile e giudiziaria che ha fin qui dilaniato il Paese può trovar fine in un provvedimento legislativo che, andando ben oltre amnistia e condono, conduca in tempi rapidi ad una sorta di pacificazione nazionale e restituisca così slancio ad un’economia in ginocchio.
Non guerra civile è stata – a giudizio di Oliviero Beha, mapiuttosto una “pace incivile” da cui si fa fatica ad uscire. Giudizio sostanzialmente condiviso da Filippo Facci di Libero, le cui previsioni circa la reattività degli italiani risultano ancor più fosche. Anche perché si continua ad assistere a paradossi come quello ricordato da Roberto Giovannini de La Stampa: «in Italia spingiamo per l’uso dei mezzi pubblici, ma stiamo chiudendo l’unica fabbrica di autobus che era rimasta aperta nel Paese».

Di tutto rilievo sono poi arrivate, sul versante delle azioni da intraprendere, le analisi del costituzionalista Michele Ainis, il quale ha posto sul tappeto, con la consueta efficacia, alcuni fra i rimedi possibili alla attuale crisi di sistema. Tanto per cominciare, meccanismi di “revoca dell’eletto”, quando necessario, analogamente a quanto già accade in diversi Paesi del mondo occidentale; e poi potenziamento delle iniziative di legge popolare che, così come si configurano attualmente, altro non sono se non «una supplica al sovrano», e in quanto tali vengono trattate. Al professor Ainis ha fatto eco Giuseppe Fortunato dell’Autorità Garante per la Privacy, avvocato, da sempre schierato in difesa della partecipazione popolare anche in quanto fondatore del vasto movimento “Civicrazia”.
«Ma la vera priorità – ha detto Rocco Buttiglione – resta la riforma dei partiti». Nel corso del convegno il presidente Udc ha annunciato infatti la proposta di legge che prevede, fra l’altro, meccanismi di obbligatorietà della democrazia interna, norme precise sull’uso del denaro pubblico e candidature scelte attraverso primarie a scrutinio segreto.
Anche perché «continuando di questo passo, con le cricche dei banchieri a decidere sui destini del mondo – ha osservato con la solita grinta il senatore Idv Elio Lannutti – ai nostri figli lasceremo in eredità solo carte revolving scadute…».
Se Elio Veltri aveva scaldato la sala in apertura con l’appassionato ricordo d un insegnamento attualissimo, quello di Gaetano Salvemini, non meno coinvolgente è stata la conclusione del convegno, con un Sergio D’Elia, presidente di Nessuno Tocchi Caino, che ha toccato i tasti più dolenti del Paese e della nostra coscienza. «Non di debito pubblico a carattere finanziario si deve parlare – ha detto D’Elia – ma di un debito ben più pesante, quello che la giustizia italiana ha accumulato nei confronti della popolazione, con una montagna da 3 miloni e 300 mila processi pendenti ed una “amnistia clandestina”, riservata ai ricchi, che si chiama prescrizione».

Roma, 22 settembre 2011

Ufficio stampa Fondazione Gaetano Salvemini
Rosa Rita Pennarola (Renato d'Andria)

giovedì 6 ottobre 2011

TV E INFORMAZIONE: PIU’ DEMOCRAZIA O PIU’ ESCLUSIONE SOCIALE? (Renato d'Andria)


Oggi più che mai la classe dirigente ricorre al mezzo televisivo per comunicare con il proprio elettorato. I comizi sono ormai passati di moda, i tavolini ridotti a semplici spazi di propaganda e i circoli di partito a poco più che bar sport di quartiere, ed è quindi proprio attraverso il piccolo schermo che i politici contemporanei cercano più che di comunicare, di influenzare e/o pilotare le posizioni dei telespettatori. Gli elementi di un “talk show” politico comprendono essenzialmente: - Un conduttore spesso arrogante ed apparentemente energico - Rappresentanti dei due schieramenti (Destra e Sinistra) in posizioni visibilmente contrapposte, come in Parlamento - Alcuni eminenti specialisti (economisti, giornalisti, ricercatori, ecc...) presenti in studio o in diretta da posti o località di prestigio - Un pubblico piazzato alle spalle dei politici e posizionato come i tifosi allo stadio. Guardi queste trasmissioni e subito ti vengono immediate alcune considerazioni: - Lo spazio in questione sembra come un’arena in cui si debbano affrontare dei gladiatori - L’eccitazione dello scontro e della prevaricazione domina la scena ed i contenuti che vengono (raramente) esposti passano in secondo piano - Il conduttore apparentemente cerca di smorzare i toni dei contendenti, ma in realtà li fomenta costantemente in quanto ciò che più conta è l’audience e non il far passare messaggi troppo chiari e/o diretti al pubblico a casa - Gli specialisti appaiono quasi sempre come degli “agnellini” nei confronti dei politici in studio, evitando di entrare troppo in contrasto con loro - Il pubblico in studio e a casa non viene quasi mai coinvolto e quando ciò accade, la cosa si risolve in un intervento molto limitato ed incompleto - La telecamera concentra tutta la sua attenzione sui contendenti e sul conduttore, cercando di far risaltare qualsiasi elemento, anche facciale-espressivo, che possa suscitare un interesse maggiore fra il pubblico - La pausa pubblicitaria viene a volte usata per evitare che vengano diffuse cose non previste nella scaletta programmata - Le domande appaiono spesso pilotate e l’impressione è che i politici siano spesso tutt’altro che spontanei nelle loro dichiarazioni. Tutto questo a dimostrazione di quanto siano inutili queste trasmissioni per tutte/i coloro che vogliano davvero farsi una vera e propria cultura politica ed accedere ad informazioni che siano in grado di farli crescere come soggetti civili e quindi anche politici. In parole povere, sono eventi in cui viene diffusa solo una patetica propaganda politica, dai contenuti vuoti e/o effimeri e che si riduce solo ad una blanda espressione di protagonismo da parte dei partecipanti. Quindi, non vedremo mai in tali sedi specialisti davvero scomodi come Gianni Lannes, Gianni Minà o Fernando Imposimato, né vedremo mai conduttori autenticamente costruttivi nel dibattito, né tantomeno vedremo mai il pubblico essere parte effettivamente integrante e partecipe in modo costante dello stesso. E quest’ultimo punto è la prova (semmai ce ne fosse ancora bisogno) che la gente comune è effettivamente esclusa dalla politica e ridotta ad una mera comparsa a cui la classe dirigente ricorre solo di tanto in tanto per avere voti e nulla più! Yvan Rettore

I MASS MEDIA HANNO IL DIRITTO DI CRITICARE LA MAGISTRATURA. PAROLA DI CASSAZIONE (Renato d'Andria)


Secondo una importante sentenza della Cassazione, pronunciata qualche settimana fa, i mass media possono attaccare il potere giudiziario. Facendo propria la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha definito i giornali i “cani da guardia” della democrazia e delle istituzioni, la Cassazione scrive: «il ruolo fondamentale nel dibattito democratico svolto dalla libertà di stampa non consente di escludere che essa si esplichi in attacchi al potere giudiziario». E aggiunge che i mass media «costituiscono il mezzo principale diretto a garantire un controllo appropriato sul corretto operato dei giudici». Ancora la Suprema Corte riconosce che se «da un lato è di enorme interesse per la comunità nazionale la corretta e puntuale esplicazione dell’attività giudiziaria, dall’altro, la critica e cronaca giornalistica volte a tenere o a ricondurre il giudice nell’alveo suo proprio vadano non solo giustificate ma propiziate». La sentenza è stata pronunciata in merito ad un ricorso presentato dall’ex parlamentare Tiziana Maiolo che, in un comizio pubblico, aveva attaccato la Procura di Palermo allora guidata da Giancarlo Caselli paragonandola ad una «associazione a delinquere di tipo istituzionale». Va sottolineato ancora un altro passaggio della sentenza: «all’interno delle società democratiche deve, di conseguenza e soprattutto, riconoscersi alla stampa e mass media il ruolo di fori privilegiati per la divulgazione extra moenia dei temi agitati all’interno delle assemblee rappresentative e per il dibattito in genere su materie di pubblico interesse, compresi la giustizia e l’imparzialità della magistratura». - La Redazione
La ringraziamo per l’importante segnalazione e non possiamo che condividere il parere della Suprema Corte. Anche perché è indispensabile una riforma della legislazione in materia di più ampio diritto all’informazione, ma anche di pene più rigide per quella certa parte della stampa stampa che, al contrario, agisce in nome di interessi di parte e non di quelli collettivi.

lunedì 3 ottobre 2011

NAPOLITANO: PAESE UNITO O NON CRESCERA’

Un altro appello all’unità da parte del Presidente della Repubblica Napolitano. All’indomani delle critiche dure nei confronti degli appelli di Umberto Bossi alla secessione, il Presidente, in visita a Napoli, è chiarissimo “O questo Paese cresce insieme o non cresce”, rispondendo a chi gli chiedeva se lo sviluppo dell’Italia non sia imprescindibile anche dallo sviluppo del Sud.

L’Italia è una e una sola e “il popolo padano non esiste”. In questa Italia serva, ” di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!“, come cantava Dante, l’ inquilino del Colle richiama le forze politiche, sociali ed economiche all’unità e alla sobrietà.

Secondo Napolitano “Si impreca molto contro la politica, ma attenzione ma la politica siamo tutti noi”.

Il riferimento, nella visita presso la Facoltà di Ingegneria della Federico II di Napoli dove, sabato 1 ottobre, Napolitano ha ricevuto la prima tessera ad honorem dell’Associazione ex allievi, è anche alle recenti contestazioni di Diego Della Valle.


Articolo preso da www.fondazionesalvemini.it

(Renato d'Andria amministratore della fondazione)

CASINI APRE A MARONI, IL PDL SULLE PREFERENZE

Alle recenti parole del Ministro Maroni, sulla necessità di andare avanti con il referendum, fa eco il leader dell’UDC, Pierferdinando Casini che incalza: ” Con questa maggioranza impossibile fare riforma elettorale“.

E’ ancora Casini che spinge per “dare la parola ai cittadini”, mentre Pier Luigi Bersani si mostra fiducioso sullo stadio terminale dell’esecutivo “anche perchè, ogni qualvolta Berlusconi e i suoi dicono che rimarranno fino al 2013 lo spread va su”.

Anche il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, si aggiunge al coro dei sì “Una volta tanto sono d’accordo sia con Casini sia con Maroni: i tempi sono maturi per andare ad elezioni. D’altronde, non ci sono alternative se non si riesce a cambiare la legge elettorale in questa legislatura. Quindi le strade sono due: o elezioni subito o referendum. L’Italia dei Valori è disponibile ad entrambe le soluzioni“.

Cosa ne pensa, invece, il padre del Porcellum ? Il Ministro Calederoli rivela come la Lega fu costretta ad accettare la legge sotto ricatto. Ai microfoni del Tg1, il leghista ha dichiarato che all’epoca della nascita dell’attuale legge elettorale “la Lega ed il sottoscritto erano a favore del Mattarellum“, ma “fummo ricattati da Casini e dall’Udc, per introdurre un sistema proporzionale” e “da Fini che voleva le liste bloccate e Berlusconi che voleva il premio di maggioranza“, a cui si aggiunse un silenzio assordante da sinistra. Sulla ipotesi di elezioni anticipate, l’esponente del Carroccio frena, preferendo ”trasformare l’attuale legislatura in una legislatura costituente” .

Nel PDL la linea ufficiale è quella attendista: “Vogliamo portare avanti le riforme costituzionali e votarle almeno in prima lettura. Poi penseremo alla legge elettorale” dichiarava Fabrizio Cicchitto, mentre oggi alcuni esponenti del partito, primo fra tutti il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, secondo cui ”la legge elettorale, quale che sia, deve consentire in primo luogo all’elettore di scegliere il premier, la coalizione, il programma. Il resto è materia di confronto“, invocano un confronto sul presidenzialismo, con l’introduzione delle preferenze.

Articolo preso da www.fondazionesalvemini.it

(con Renato d'Andria amministratore della fondazione)