lunedì 16 maggio 2011

Energia nucleare, Medio Oriente e il Mediterraneo


In Italia, la proposta del governo Berlusconi di ritorno alla produzione dell’energia nucleare, pianificando la costruzione di nuove centrali nucleari ha avuto uno stop. Dopo i terremoti in Giappone, con l’inquinamento radioattivo derivante da alcune centrali nucleari che hanno avuto problemi di emissione di radiazioni nucleari, ha generato il movimento per l’organizzazione dei referendum sul tema, che avrebbero dovuto svolgersi nel prossimo mese di giugno.

In realtà il governo italiano ha annullato con nuove norme le precedenti, che erano oggetto dei quesiti referendari, che propugnavano la loro abrogazione, e quindi esprimevano la volontà di non ritornare al nucleare. Per evitare una risposta istintiva dell’elettorato sfavorevole al nucleare, e quindi bloccando una sua ripresa per molti anni, il governo Berlusconi ha deciso di adottare la suddetta strategia, mettendo in stand by la decisione di ritorno al nucleare, al fine di far passare l’elemento istintivo e riprenderne fra un paio di anni l’esame e una probabile decisione favorevole.



Queste problematiche mi hanno suscitato alcune valutazioni su due temi: il primo è l’atteggiamento del mondo in genere verso l’uso dell’energia e il secondo, ad esso correlato, la dipendenza dai paesi arabi, depositari maggiori dei giacimenti di petrolio, col derivante problema dell’instabilità delle relazioni internazionali in Medio Oriente.

Allora l’energia credo che sia il motore dell’umanità. Sin dagli albori della presenza umana sulla terra, il moto e quindi l’ausilio di tecniche per agevolare la produzioni di beni e servizi sono sicuramente stati elementi di ricerca fondamentale per l’uomo.

Il problema basilare è però chiedersi il costo dell’energia sulla stabilità umana, e cioè la produzione della necessaria energia inquina o no l’atmosfera, danneggia o no gli uomini?

E’ certo che tutti vogliamo accendere il computer, avere un frigorifero e illuminarsi di sera. Ma queste comodità spesso vengono rimandate alla responsabilità altrui. Per esempio siamo circondati da più di 20 centrali nucleari al di là delle Alpi, ma i referendum degli anni 80 hanno causato la chiusura delle tre centrali nucleari in azione che avevamo in Italia allora.

Il problema non è quindi risolto, e anche se le centrali fossero solo quelle della Russia e del Giappone, lontanissime dall’Italia, ciò non potrebbe scagionarci dalla responsabilità che il pericolo di radiazioni, a seguito di disfunzioni o anche per cataclismi naturali, si riverserebbero sull’umanità, che in fondo è unica.

Ma anche il carbone, il petrolio sono inquinanti.

Allora i verdi rispondono con l’energia rinnovabile, eolica, solare, biomasse… Ma ad esse si replica che non sono consistenti, che agiscono solo nei momenti in cui il sole o il vento ci sono, insomma non sono sufficienti.

Sembra un problema irrisolvibile.

Veniamo al mio secondo quesito: se non abbiamo centrali nucleari, dipendiamo unicamente dai paesi Arabi o da altre dittature, tipo il Venezuela, che sono i massimi produttori di petrolio. Ora in più, soprattutto per l’Italia, c’è la guerra contro Gheddafi in Libia, per cui dobbiamo fare a meno del 25% della nostra energia proveniente da tale paese sotto forma di petrolio e gas. Cioè s’innesta l’instabilità politica ed economica, che sembra il destino di varie terre ricche di materie prime energetiche.

Ma a questo punto si possono considerare due pensieri di ordine generale: uno è che la lotta con l’imperfezione delle soluzioni prospettate è graduale e secondo che potrebbe la ricerca darci qualche tecnica ispirata che non inquina e produce sufficientemente energia.

Se non ci fossero state queste ultime valutazioni, saremmo rimasti all’età della pietra. Se queste ultime considerazioni sono degne di nota, allora dovremmo sempre entrare nell’orbita della progressione dell’esperienza, cioè non possiamo disdegnare qualche tecnica inquinante fino a quando non ne troviamo una migliore. Del resto le centrali di energia atomica ora sono più sicure di quelle del passato. Questo è proprio il principio del progresso umano. Certo si deve lottare anche contro l’egoismo, perché le fabbriche che poi si costruiscono sulla base di una scoperta scientifica sono determinate da forti investimenti, per cui se, poniamo, subito dopo una nuova tecnica sostituisce quella che ha determinato i forti investimenti, sia i privati che gli Stati interessati cercheranno, egoisticamente, di bloccare le nuove tecniche.

Questo è un ulteriore problema, per cui si sente in giro l’idea sull’esistenza di congiure contro l’auto elettrica o ad idrogeno, per boicottarle, perché la loro produzione di massa danneggerebbe gli investimenti di auto poggiate sul petrolio.

Insomma l’imperfezione umana non ha mai fondo.

Nel frattempo io penso che dovremmo rischiare con l’energia nucleare, so che è triste, ma altrimenti, pur sostenendo le rinnovabili, quindi creando un mix di fonti, se dessimo retta solo ai movimenti più estremi ecologisti, dovremmo rassegnarci al minore uso possibile dell’energia. Ma il nucleare ha un altro problema serio che è l’assenza di quantità necessarie di uranio per tutta la produzione mondiale di energia nucleare. Si puo’ prospettare la fine dell’uranio prima che le centrali nucleari italiane siano messe in funzione.

Speriamo di vedere dei governi con organizzazioni di imprenditori pronti a far fronte a tutte le sfide che questa rivoluzione energetica imporrà.

(testo ispirato dal libro di Jonathan Curci e Raffaele Petroni, "L'esistenza dello Stato d'Israele, il Medio Oriente e la comunità internazionale"Messaggi Editrice, Collana del Professor Cesare Colafemmina (collaborazione con Genesi Editrice di Renato D'Andria)



Dr. Jonathan Curci

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