martedì 10 maggio 2011

Quando vediamo i giovani tunisini arrivare sui barconi all’isola di Lampedusa, possiamo considerarli o una massa di diversi o delle persone come noi. Dopo il primo impatto sociologico credo che non possiamo che vederli come uomini singoli, proprio come noi. La divisione storica in popoli, nazioni e stati diversi affievola questo sentimento d’eguaglianza. Per questo come Renato d’Andria afferma, bisogna trovare un linguaggio precedente alle differenze e una cultura che accomuna i popoli del Mediterraneo nelle loro divisioni.


Lo stesso passaggio dovremmo fare nell’attribuire anche a loro il tipo di governo che noi abbiamo. Possono essere i paesi arabi democratici? O loro sono diversi e sono costretti a vivere in una semi-democrazia, oligarchia, monarchia o dittatura? Possono anch’essi godere delle libertà fondamentali sancite dal diritto europeo e internazionale dei diritti umani?


E’ innegabile che le istituzioni democratiche di stampo occidentale, con tutti i loro limiti, sono un bene che collima con la libertà di scelta dell’individuo, almeno comparativamente rispetto ai regimi islamici.


è vero, se pensiamo all’Iran, possiamo temere che la richiesta di democrazia da parte delle popolazioni arabe celi dietro di sè le organizzazioni cosiddette “terroristiche” che fagocitano le aspirazioni politiche delle masse arabe per canalizzarle in espressioni violente contro Israele o l’Occidente. Sappiamo che queste organizzazioni sono più attrezzate di altre danno delle risposte immediate fondate su una base chiara della cultura islamica e possono guidare l’opinione pubblica che è vissuta con libertà di scelta limitate.

La dittatura in vari paesi arabi ha innegabilmente contribuito a un mantenimento relativo di queste masse nei propri confini, ha bloccato la partenza di barconi con masse di immigrati, ha stabilizzato le strutture economiche del paese e, pur non distruggendolo, ha frenato il terrorismo più di quanto la loro assenza poteva fare (ad esempio, il terrorismo all’interno dell’Iraq non è mai stato così divampante come dopo lo smantellamento della dittatura di Saddam Hussein). Ma queste ribellioni non giustificano assolutamente le dittature.


I paesi occidentali, però, accontentandosi di una tale situazione, in realtà svolgono un ruolo di neocolonialismo.


Il colonialismo in realtà è stato una forma di estensione fittizia dei territori nazionali su altri luoghi, sfruttandoli per quanto riguarda le materie prime, a beneficio delle proprie nazioni. Ma l’effetto più dannoso nel tempo è proprio quello di considerare le popolazioni dei territori colonizzati come inferiori. Questo e’ un contrasto palese nei confronti dei principi cristiani di cui questi paesi si fanno baluardi. L’uguaglianza e la fraternita’ dovrebbero essere prerogative dei paesi che si considerano cristiani. Invece rimaniamo eredi di una mentalita’ nazionale che non fa capire l’importanza dell’interazione con le altre culture del Sud del Mediterraneo come queste persone che cercano approdo in Europa. Come integrarli e come rafforzare i legami con i regimi politici di questi paesi in transizione, sono i veri quesiti dell’Europa che si affaccia sul Mediterraneo. L’Italia ha un ruolo fondamentale in questo processo data la vicinanza geografica.


Queste masse di ex colonizzati sono loro a venire da noi mentre nel passato eravamo noi ad andare da loro. Ma in realtà psicologicamente avviene la stessa cosa: loro non sono come noi. Ciò accade per svariate giustificazioni: c’è già disoccupazione fra noi, sono clandestini e possono diventare delinquenti; inoltre hanno culture e religioni diverse, insomma non c’è nè tempo né voglia di comprendere che loro sono come noi, uomini.


Ora voglio farmi un’altra domanda: è plausibile raggiungere la democrazia e la libertà con la violenza e la rivoluzione? Per molti è sempre stato incomprensibile la tolleranza cristiana del potere mondano, insito nella frase "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Alla luce di questo principio non può la rivoluzione violenta portare forme di libertà come la democrazia. La rivoluzione sovietica lo dimostra, come anche molti colpi di stato militari o di massa ammantati illusoriamente di essere capaci di portare più libertà e benessere. Lo stesso Gheddafi in Libia fece un tipo di rivoluzione più di 40 anni fà al fine di portare tali vantaggi, mentre oggi molti del suo popolo si ribellano contro di lui perché manca la libertà. Credo che ogni miglioramento ha bisogno di pace, meditazione, gradualità e compromessi benefici. Il bene porta il bene, i sacrifici giusti determineranno un consolidamento del frutto migliore della democrazia: la libertà individuale, la promozione dell’essere umano, e non ci sono uomini diversi. Esempi di non violenza che hanno condotto alla libertà e democrazia sono stati ad esempio l’India di Gandhi e il Sud Africa di Mandela.

La frantumazione delle dittature può certamente avvenire se la maturazione indigena viene appoggiata da strutture collaudate anche esterne, ma seriamente votate a determinare l’autosufficienza della popolazione interna.


150 anni fà l’unità d’Italia si formò proprio con tali elementi: reale maturazione della popolazione interna e appoggio internazionale nell’ambito di principi positivi generalizzati.


Ma quando i black block mettono a ferro e fuoco le città, partendo da manifestazioni di opposizione ai governi democratici, non possiamo rinvenire gli elementi utili al miglioramento della vita politica.


Le rivoluzioni dell’inizio del 2011 in vari stati Arabi contro le dittature in Tunisia, in Egitto e altri paesi, rivelano un moderno afflato giovanile, lievemente appoggiato dalle moderne democrazie occidentali, spesso ex coloniali, che comunque temono che i nuovi ordinamenti potrebbero in tali luoghi trovare solo forze organizzate, contingenti al terrorismo islamico, che prenderebbero il potere reale come in Iran.


I paesi del Nord Africa e Mediorientali sono ricchi di materie prime, e non sono i manager superpagati in confronto agli operai nelle aziende dell’occidente, l’esempio migliore per creare società più eque al posto delle dittature nordafricane o mediorentali in genere.


I principi morali e spirituali che soli possono motivare all’equità e al benessere diffuso di questi popoli, di origine islamica, che nel mondo di internet e della globalizzazione, si stanno aprendo alla democrazia e alla libertà di scelta dell’individuo al di là dei confini imposti dalle tradizioni religiose del popolo in cui l’individuo nasce e cresce. Ma questi principi di libertà non sono e non devono essere nuovi strumenti di colonizzazione.


Inconsapevolmente e silenziosamente, probabilmente i giovani stanno superando le barriere sociali religiose del passato, senza proferire parola; la comunicazione mediatica ha unito e sollevato le coscienze ad una unità più grande, insita e prona alla creazione di una vera democrazia. Se pure i fenomeni rivoluzionari nei paesi nordafricani e mediorientali siano diversi, pensiamo alla Libia paragonata alla Siria o Giordania, il problema risolutivo è il medesimo: riuscire a seguire un filo unico di libertà umana che non differenzia gli esseri umani a causa di sovrastrutture sociali, storiche e religiose.


(Dr. Jonathan Curci e Renato D'Andria)

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