martedì 10 maggio 2011

Le decisioni difficili dei governi israeliani

In Israele le decisioni sono sempre difficili da prendere: nell'ottica israeliana il dilemma è se dare o meno nuovamente fiducia ad una leadership palestinese e araba che dal punto di vista israeliano ha sempre disatteso la maggior parte delle aspettative israeliane, aspettative che l’agenda arabo-musulmana non può soddisfare senza un radicale cambiamento di prospettiva sullo Stato ebraico. Israele, di conseguenza, per anni ha ceduto alla richiesta del suo popolo di vivere anche nelle antiche regioni della Giudea e della Samaria, cuore della Terra d’Israele biblica. Avviare trattative di pace mentre si continua ad essere avvolti da uno stato di allerta e diffidenza verso il vicino arabo è difficilissimo. Stesso dilemma si pone quando bisogna confrontarsi con la comunità internazionale, in particolare con le Nazioni Unite: il sentimento di sfiducia che si è creato nei decenni precedenti, in particolare per ciò che riguarda l’approvazione di alcune risoluzioni con marcati contenuti anti-israeliani e antisemiti, spesso risulta difficile da superare. Le derive antisemite esplose durante la conferenza sulla lotta al razzismo tenuta a Durban (2001) e patrocinata dalle Nazioni Unite sono state un colpo “basso” che Israele giustamente non ha accettato passivamente e che ha minato ancora di più la già fragile fiducia nelle istituzioni internazionali. Il Rapporto Goldstone del 2009 ha poi ulteriormente rincarato la dose.

Il dibattito diventa lacerante e, a seguito della grande discussione che avviene all’interno d'Israele e delle comunità ebraiche sparse per il mondo, spesso fonte di profonde divisioni. È sufficiente aprire un qualsiasi giornale israeliano, o visionare le loro versioni online, per rendersi conto di quanto il dibattito sia acceso, soprattutto in un periodo caratterizzato da un lato da tentativi di dialogo di pace con la Siria, tentativi fino ad ora falliti, e dalla ricerca di un rinnovato impegno politico verso l’ANP, e dall'altro dalla minaccia alla sicurezza dei cittadini d'Israele posta dal nucleare iraniano e dalle fazioni terroristiche di Hezbollah (حزب الل – Partito di Dio) e Hamas (حماس – Movimento Islamico). Addirittura sulla costruzione così controversa, ma necessaria, della barriera difensiva la discussione si divide tra chi ritiene che sia una questione prettamente politica, quindi da dover esser gestita dal governo e dalla magistratura, e chi invece ritiene che debba essere l’esercito a coordinare la sua amministrazione. Essendo una democrazia rappresentativa, però, Israele ritiene che debbano essere le istituzioni politiche e giuridiche a fornire le linee guida da seguire, e non le forze armate: la Corte Suprema israeliana, infatti, vigila costantemente sulla costruzione di tale barriera e spesso ha obbligato il governo e l'esercito a cambiare il percorso da essa seguito, anche se a onor del vero bisogna sottolineare che in alcuni casi le forze armate non sono state solerti nell'applicare le disposizioni della Corte. La supervisione della magistratura sulle decisioni politiche relative alla sicurezza nazionale è un elemento chiave per giudicare i comportamenti e il progresso sociale e civile di uno Stato, soprattutto in presenza di un conflitto.

Insomma con l’aumentare della popolazione palestinese e ebraica questi problemi si faranno sempre piu’ gravi e soluzioni da trovare sempre piu’ difficili fintantochè le minacce esterne sulla natura di Stato ebraico pendono su Israele. Servono delle idee innovative per uscire dall’impasse. Ma lo Stato d’Israele continua a svilupparsi con vigore nonostante tutte le circostanze avverse. Dal mio punto di vista si tratta di un popolo che merita di tornare in quella terra che tanto ha desiderato per centinaia di anni.

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